Con il termine di autolesionismo, o di comportamento autolesivo, ci si riferisce ad una spiccata tendenza nel fare male volutamente a sé stessi, solo per il puro piacere di provare dolore. I gesti autolesivi possono essere di diversa natura: lacerazioni provocate con coltelli o forbici, con lamette, chiodi, schegge di vetro e altri oggetti contundenti, bruciature, marchiature a fuoco, e tutto ciò che può generare dolore.
Una particolarità dell’autolesionismo fine a sé stesso è comunque l’assenza di intenzioni suicide: in genere, le condotte autolesive non hanno come intento quello di indurre la propria morte. Si tratta però di un comportamento del tutto anomalo, che non di rado si trasforma in una vera e propria dipendenza: il desiderio di provare dolore spesso è generato da sensazioni, condizioni e accadimenti negativi, quali possono essere solitudine, inadeguatezza, alienazione, sensi di colpa, perdite affettive. Eventi che, tra l’altro, possono essere reali ma anche immaginari, vissuti solo interiormente.
Provocarsi un taglio o una lesione, e sentire dolore, conduce ad un sollievo di breve durata, fino al momento in cui si verifica un altro evento scatenante, inoltre il dolore e la vista del proprio sangue per chi soffre di autolesionismo è una sorta di conferma di essere vivo.
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Perché l’autolesionismo può essere considerato una dipendenza
Al pari di una sostanza stupefacente, il dolore causato da un’azione volontaria e ripetuta, comporta una maggiore produzione di endorfine e, di conseguenza, una sensazione piacevole: ciò significa che più forte è il dolore, più intenso sarà il piacere che fa seguito ad esso.
La ricerca del piacere diventa quindi la causa fondamentale, e incontrollabile, che determina il comportamento di un autolesionista, generando quella che è un’autentica dipendenza.
Come viene diagnosticato un problema di autolesionismo
Per individuare, e diagnosticare correttamente, un problema di autolesionismo senza tendenze suicide, è necessario rivolgersi ad un professionista che, in base ad alcune manifestazioni specifiche, possa essere in grado di distinguere con chiarezza quello che è a tutti gli effetti un problema mentale.
Il segno principale di un autolesionista è quello di avere prodotto danni fisici a sé stesso,volontariamente, in almeno cinque giorni dell’ultimo anno, provocando sanguinamento, traumi e dolore: potrebbero essere tagli, bruciature, colpi, escoriazioni o altro, ma senza mai avere l’intenzione di mettere a rischio la propria vita.
Per diagnosticare il disturbo, l’autolesionismo deve seguire ad una sensazione o stato d’animo negativo, con la convinzione di porvi rimedio e di provare sollievo con il dolore. Inoltre, l’azione autolesiva deve essere accompagnata da sintomi specifici, quali possono essere rabbia, depressione, tensione, eccessiva autocritica o altro, e anche nei periodi in cui il comportamento appare normale, i pensieri di autolesività sono sempre presenti.
I fattori di rischio delle manifestazioni di autolesionismo
Al presente, l’autolesionismo è un fenomeno molto diffuso soprattutto nei paesi più evoluti, tanto da rappresentare un problema sociale preoccupante non solo tra coloro che soffrono già da tempo di patologie psichiatriche, ma anche tra adolescenti e persone molto giovani.
Le ricerche evidenziano infatti una significativa percentuale di comportamenti e pensieri autolesionisti nei giovani tra i 13 e i 14 anni, talvolta accompagnati da depressione, ansia, abuso di sostanze stupefacenti e altri disturbi del comportamento. Una condizione che si associa frequentemente a situazioni di disagio sociale e famigliare, difficoltà nel relazionarsi e rendimento scolastico scarso.
In molti casi, le azioni autolesive si riferiscono al tentativo di far fronte, e di contrastare, una situazione spiacevole, complicata o impossibile da gestire, come se l’autoinfliggersi dolore potesse in qualche modo riportare armonia e benessere o come se la sofferenza fisica potesse prendere il posto di quella interiore. Altre volte, la scelta di infliggersi una sofferenza fisica può essere vista come una forma di punizione generata da un senso di colpa, oppure come un tentativo di attirare l’attenzione su di sé e di manifestare un disagio.
I fattori determinanti per arrivare ad un comportamento autolesionistico sono diversi: come abbiamo detto, può essere la conseguenza di un abuso di stupefacenti o di un disturbo psichiatrico, così come l’evolversi di un tratto comportamentale o personale, oppure un difetto di autostima o la difficoltà ad affermarsi e a progredire nel contesto scolastico. L’autolesionismo può essere incentivato anche da accadimenti di carattere sociale, bullismo, abusi, problemi in famiglia, messaggi provenienti dall’uso dei social.
Autolesionismo e tendenza al suicidio
Solitamente, come si è detto, l’autolesionismo non è mirato al suicidio e non ha conseguenze letali, anche perché chi ne soffre non prova il desiderio di mettere fine alla propria vita. Può però accadere che il comportamento autolesivo indichi una predisposizione verso il suicidio, oppure che sia una conseguenza dei tentativi pregressi di togliersi la vita. Senza tralasciare il fatto che, con il tempo, l’autolesionismo diminuisce la sensibilità al dolore, con il rischio di infliggersi danni sempre più gravi.
Risolvere il problema dell’autolesionismo è possibile?
Per liberarsi dalla tendenza all’autolesionismo, così come da ogni altro problema comportamentale o dipendenza, è importante poter contare su uno psicoterapeuta valido e professionale e su una struttura in grado di gestire questo tipo di casistiche. Soprattutto per un adolescente, affrontare e risolvere da sé una situazione di autolesionismo è molto difficile, se non impossibile. I giovani, in particolare, tendono ad avere una percezione delle emozioni molto soggettiva e variabile, che può provocare reazioni imprevedibili e incontrollate.
Anche l’abitudine ormai popolare tra i giovani di utilizzare costantemente i social network non è raro che li conduca a commettere azioni autolesive e a mettere seriamente a rischio la vita, a seguito della diffusione messaggi che rappresentano una specie di sfida ed esortano i partecipanti ad infliggersi dolore o a sottoporsi a prove particolarmente pericolose e potenzialmente mortali.
Purtroppo, i social attirano l’attenzione di un pubblico molto giovane e altrettanto manipolabile, che si lascia facilmente sottomettere e convincere a svolgere attività che possono autoindurre o provocare ad altri dolore e danni piuttosto gravi.
Sia per l’autolesionista stesso, sia per la sua famiglia, è importante rendersi conto che si tratta di un vero disagio, un malessere psicologico che deve essere identificato, gestito e affrontato in un contesto specialistico, al di là della semplice terapia farmacologica, impegnandosi prima di tutto ad individuare le cause che hanno scatenato tale comportamento.